E' necessaria un’autentica rifondazione della pianificazione: che metta fine alla crescita quantitativa e punti invece sulla riqualificazione-trasformazione delle città, sul ricupero-risanamento dei centri storici, sulla ristrutturazione delle periferie e sulla rigorosa salvaguardia del territorio non ancora urbanizzato.

Antonio Cederna





venerdì 18 giugno 2010

LA MEMORIA DEL PASSATO ED IL PRESENTE: PERCHE' LO STOP AL CONSUMO DI SUOLO

da Silvano D’alto


Caro Roberto e cari amici di “STOP al consumo di territorio”,

mi rallegro molto di questo nuovo blog che si aggiunge alle iniziative di “Sarzana, che Botta” e a “Terra del Magra”. La cultura del territorio – che oggi tende a identificarsi con la cultura dell’ambiente, anche se i due termini hanno storicamente e praticamente significati differenti – è un’ urgenza nella prospettiva di cambiare la società. Cambiare la cultura del territorio per cambiare la società: è questa l’utopia concreta che sostiene la vostra iniziativa che si collega direttamente al movimento nazionale di Finiguerra.

Tre iniziative, tra blog e siti, nell’area del Magra possono essere una garanzia che il territorio viene affrontato con nuova apertura mentale, perché ciascuna iniziativa si presenta con caratteristiche diverse e coglie comunque l’urgenza di differenti punti di vista dai quali studiare e prefigurare l’azione per cambiare il trend della crescita quantitativa.

Per volgere la crescita in decrescita, ossia per avviare una nuova concezione del territorio e del suo sviluppo – secondo i valori da voi fatti propri e che condivido pienamente – occorre, a mio giudizio, tenere presenti due tempi, storicamente ben definiti del nostro territorio:

a) il passato: strutturato sul rapporto città-campagna;

b) il presente: in cui tale rapporto si è trasformato in quella forma di urbanizzazione diffusa definita, piuttosto impropriamente, “città diffusa” . Impropriamente perché si tratta di una urbanizzazione dove brandelli di aree agricole si conservano dentro il caos edificatorio. Sono le due immagini estreme in cui si colloca il mutamento sociale e spaziale dal secondo dopoguerra ad oggi. Nel 1946 tale rapporto aveva trovato la sua espressione simbolicamente più ricca nella costruzione del Mercato Ortofrutticolo di Piazza Terzi.

Il problema davanti al quale oggi ci troviamo è quello della transizione tra due mondi,: con l’implicita obsolescenza dell’area agricola, che viene trasformata in area edificabile e nella violenta crescita quantitativa. Di fatto un disconoscimento del mondo rurale, vissuto come un rottame del passato.
Ma, proprio affrontando il tema della transizione, occorre riflettere che il rapporto città-campagna è culturalmente dentro di noi, come una dimensione latente del nostro mondo interno, anche se viviamo il tempo dell’apparente oblio di tale rapporto millenario. Cerchiamo la memoria del mondo rurale sotto l’etichetta delle seconde case (consumando territorio) o dei prodotti della filiera breve (risparmiando energia e producendo consumi di qualità). In un modo o nell’altro viviamo il tempo della memoria.
Stop al consumo di suolo significa far vivere questa transizione, senza che la memoria vada perduta ma venga ri-significata – cioè riorganizzata creativamente nel pensiero e nell’azione - come nuovo percorso di cultura e di civiltà.

Occorre costruire le condizioni perché la memoria del passato sia un elemento essenziale per veicolare una nuova cultura del territorio. Ciò può avvenire solo partendo dai luoghi e dalla storia, ossia dall’identità vissuta: luoghi e storia che non sono solo attività, ma valori altamente simbolici per costruire la sintesi di una nuova identità della Piana, nel suo rapporto con la città di Sarzana e con gli altri storici insediamenti che la circondano
In questa prospettiva, il rurale che ancora esiste negli anfratti della città diffusa diventa un fattore essenziale per veicolare un nuovo senso del territorio. Nel marasma di interessi di tipo economico-speculativo, parlare di cultura del territorio (o di cultura dell’ambiente) può sembrare un nonsenso: eppure è da qui che si deve partire per cambiare l’agire territoriale che privilegia la crescita quantitativa e lo spreco delle risorse .

Costruire il nuovo territorio significa far coesistere – citando Herman Daly – tre comunità: a) la comunità tra la gente, b) la comunità con le specie non umane, c) la comunità con le future generazioni.
Ossia occorre costruire la pluralità piuttosto che l’omogeneità, la creatività, piuttosto che distruzione dei luoghi della storia, la sperimentazione e l’invenzione piuttosto che la stereotipia delle scelte che guardano solo al profitto.
Il problema è ridimensionare l’economia verso la comunità, come suggeriscono gli studi di Karl Polanyi. Non creare isole di nudo profitto, ma connettere le parti divise e afone del territorio – nella loro incomunicabilità –in nuovi percorsi sociali e nuove morfologie spaziali: per creare gli spazi di una nuova città estesa., dove i valori della sostenibilità siano l’equità sociale, l’uso conviviale e pubblico degli spazi, la rinnovabilità delle risorse, la bellezza di nuovi paesaggi. Città: non perché l‘edificazione debba abbondare, ma perché è, come chiarisce Mumford, “il punto di massima concentrazione delle energie e della cultura di una comunità”. L’ambiente come una dimensione delle politiche sociali.

Su questo sfondo di riflessioni vorrei dire brevemente alcune cose su una criticità enorme del nostro territorio: la Variante al Piano del Parco di Marinella..

La Variante è un cataclisma nel territorio delicatissimo del Parco Naturale Regionale di Montemarcello-Magra. Crea nel Parco un enclave di privatizzazione, senza ripercorrere né i valori della città né quelli della campagna. Si tratta di una operazione dove non esiste un mix di privato e di pubblico nella prospettiva di costruire un nuovo territorio., ma dove cala pesantemente un’ipotesi di nuda speculazione di soggetti privati.
Dove sono in questo Piano gli spazi pubblici, essenziali al vivere comunitario, dove il senso della diversità che accoglie e produce quel gradevole senso della città che potrebbe essere offerto da una darsena, quasi uno spettacolo di città sul fiume?
Dove è finito il fiume, dove è finita la campagna? Darsena e fiume si oppongono, nella Variante, come mondi che si ignorano reciprocamente; così anche campagna e darsena si ignorano completamente. Doveva essere la campagna che si prolungava con gradualità e spazi di vita comune fino ad arrivare allo spettacolo del fiume. E invece l’avidità di suolo mercificabile ha portato ad addentrare la darsena fino ai terreni privati da valorizzare con tenace grinta speculativa. Dov’è il pubblico, le istituzioni del pubblico interesse, che dovevano garantire la difesa dell’area protetta e ne hanno invece fatto volgare scempio di interessi? Progetti senza capo né coda se non il corpo morto della rendita, privo di autentico spirito innovativo, di un senso aperto della città e della comunità.

Una libido mercificatrice si è impadronita della val di Magra che – ci sia consentita la citazione – “dopo il pasto ha più fame che pria”. Libido svariate, ma ben coltivate: la Variante di via Muccini e Piazza Terzi, la ‘capannonizzazione’ di Tavolara e le altre ingiurie al territorio che non trovano altra strada percorribile se non quella caparbiamente imboccata della rendita e della accumulazione di profitti.
Il progetto della Variante mostra proprio nella sezione tipo il senso di una perversa privatizzazione. Di chi sono quegli spazi che collegano case a fiume se non spazi esclusivi degli stessi privati, chiusi come un’ostrica nel loro blindato isolamento? Che senso ha quel continuo svilupparsi a denti di darsene che danno solo il senso della esclusione e della privatizzazione e non del bene comune gioiosamente vivibile (un mix di privato e di pubblico ricco di senso comunitario: non è questo il valore urbano che la città della nostra storia urbana ci comunica?).
La Variante avrà la forza di una epidemia che si diffonderà sul territorio: distruggerà ogni energia creatrice di nuova campagna e nuovo senso urbano, veicolerà nuove attese speculative ancora più grandi, mortificherà – oltre ogni pensiero e volontà – il bisogno di partecipazione.

È questo il territorio che vogliono le istituzioni pubbliche, votate dai cittadini? E gli abitanti cosa vogliono? Essere espropriati del diritto di costruirsi loro stessi l’identità desiderata, lasciandosi depredare della loro storia e del loro futuro dagli interessi esogeni magari difesi col tradizionale pretesto della occupazione? Che occupazione ci sarà dopo la fase edificatoria iniziale, per un mondo – già si vede in altri esempi italiani (ma non così volgari) – che avrà vita soltanto d’estate con barche che se ne stanno staticamente parcheggiate per 10-11 mesi all’anno?
E perché presentare la Variante dichiarando di rendere effettuali le previsioni del Piano del Parco, mentre invece le travolge completamente. Perché fare un piano per poi negarne i valori di equità, la difesa delle risorse, l’utilizzo delle medesime per una sperimentazione socialmente e culturalmente produttiva?

Perché dichiarare nel fascicolo di presentazione della Variante che le previsioni non modificano l’equilibrio paesistico ambientale se invece lo sconvolgono? Perché definire i contenuti del progetto “di alta qualità e sostenibilità”, abusando di questo termine che in origine voleva significare risolvere i propri bisogni nella prospettiva di costruire un futuro come risorsa per le future generazioni? Che risorsa è uno spazio esclusivo ed escludente? Qual è il messaggio immesso nello slancio di vita delle future generazioni?. Infine dov’è la bellezza del territorio: che non è tale se non partecipa del contesto sociale e culturale e della vita di tutti? Se non diventa l’ecosistema di tutti?



2 commenti:

  1. il nostro è un movimento:quindi tutte le idee e tutti i commenti hanno pari dignità e sono benvenuti.Lo sono ancora di più in questa fase dove gli impegni sono molti ma non deve mancare il dibattito.il confronto di idee e progetti perchè idee, progetti, decisioni del movimento si devono formare con il contributo di tutti quelli che sono interessati a cambiare la cultura,il modo di vivere e di essere in questo disgraziato paese....Solo se mettiamo in discusione noi stessi ed il modo di vivere caotico e consumistico,individualista e miope , che non abbiamo saputo fermare prima, potremo pensare di lasciare un mondo dove ha valore vivere alle generazioni future!! Buon lavoro a tutti

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  2. Sono totalmente daccordo sull'analisi da voi fatta,circa il Progetto Marinella Spa.Noi che sei anni fa , al sorgere del progetto,dicevamo le stesse cose in assemblee pubbliche ad Ameglia,Sarzana e Marinella;sulla stampa e con nostri volantinaggi, fummo circondati,diffamati,minacciati,messi sotto osservazione e isolati in quanto voci libere da ogni condizionamento partitico.Per ostacolare il nostro lavoro di informazione non filtrata sottolineo non filtrata, fu fra l'altro perfino creato un Comitato Per Marinella ( in realtà noi solo eravavamo allora e siamo oggi pro Marinella Sarzana,Ameglia e tutta la Val di Magra intese come comunità di esseri viventi) composto nella sua stragrande maggioranza da un mix di partiti della estrema sinistra , associazioni ambientaliste e da persone e personaggi abbondantemente politicamente compromesse con il potere locale.Oggi di fronte al sorgere del vostro movimento nella nostra zona ci sentiamo un po' meglio e meno soli e Vi ricordiamo che oltre la variante Parco Magra da voi citata, il progetto Marinella richiama la incombenza di colata di cemento nei comuni di Ameglia e Sarzana pari a circa trecentomila metri cubi che superano da soli abbondantemente la somma delle cubature di tutti gli altri progetti di porti turistici della Liguria.
    Cordiali saluti
    Gianfranco Ferrari
    Portavoce Associazione Liberamente Val di Magra.

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