E' necessaria un’autentica rifondazione della pianificazione: che metta fine alla crescita quantitativa e punti invece sulla riqualificazione-trasformazione delle città, sul ricupero-risanamento dei centri storici, sulla ristrutturazione delle periferie e sulla rigorosa salvaguardia del territorio non ancora urbanizzato.

Antonio Cederna





martedì 1 febbraio 2011

A proposito dello scellerata decisione di trasformare le serre in cemento

Comunicato Stampa

Roberto Mazza – Portavoce Stop al consumo di territorio – La Spezia.


Una posizione scellerata quella dell’amministrazione, trasformare le serre in centri commerciali è l’ultimo dei comportamenti anacronistici, di una amministrazione che non ascolta, non solo gli ambientalisti, ma neppure i telegiornali, non legge le cronache, le pagine culturali dei quotidiani che ogni giorno parlano del delirio costruttivo (in questi giorni Salvatore Settis sul sole 24 ore, Carlo Petrini su Repubblica, ieri addirittura il TG con intervista Finiguerra e Mortarino, di Stop al consumo di territorio). Non riflette sul ruolo che dovrebbero avere l’agricoltura ed il turismo per il nostro territorio, unica e vera vocazione. Sembra ci si stia vergognando dell’agricoltura e si voglia fa sparire ogni traccia!

Esiste certamente un problema politico importante che può spiegare l’anomalia urbanistica locale, fatta di un consumo eccessivo di territorio agricolo, di troppe e spesso sconsiderate varianti di piano, di cattive costruzioni, di insensibilità rispetto al contesto. Ma è chiaro, a questo punto, che esista anche un problema tecnico, ed una diretta responsabilità degli uffici urbanistici dei vari Comuni, dei differenti tecnici (architetti ingegneri e geometri) che istruiscono le pratiche, orientano gli assessori inesperti, regolamentano, scelgono, decidono, suggeriscono soluzioni o diverse opportunità, parlano (per non dire “trattano”) con imprenditori, fanno dialogare imprese e politici, ostacolano o facilitano pratiche interpretando “a maglie larghe o strette” la normativa, i dati, gli indici, le distanze, le percentuali. L’ufficio tecnico di Sarzana, i tecnici di Santo Stefano e Ameglia e Arcola. Da più parti ci viene fatto osservare che la nostra opposizione dovrebbe spostare la mira su di loro. Verificare se il lavoro che svolgono è (come sostengono nei loro scritti, Settis, Preve e al., Salzano, De Lucia, D’Alto) per il “bene comune”, rispettoso del paesaggio e della storia dei luoghi, preventivo rispetto a rischi di danni naturali, frutto di scelte condivise e trasparenti. Vigilare che lo sviluppo urbanistico non sia in contraddizione con l’interesse turistico, o con lo sviluppo economico locale. Che potenzi (e non deprima) la bellezza della città, della campagna, del fiume. I tecnici di cui parlo rispettano le leggi, certo, e si muovono conformemente alle norme nazionali e regionali. Ma esiste anche un’etica del paesaggio. Una tutela dell’agricoltura. Un diritto della terra! Una tutela dei contesti locali, delle tradizioni. Il diritto delle generazioni future ai paesaggi.

E’ sufficiente attraversare la piana in autostrada per accorgersi con facilità del degrado e dei danni arrecati al paesaggio, è visibile ad occhio nudo a partire da Santo Stefano, con i suoi capannoni sfitti, i containers accatastati da decenni, l’eccesso di centri commerciali, e la variante Aurelia che assedia e soffoca Sarzana e tutto il centro storico. Un consumo di territorio irragionevole, sia per le modeste proporzioni della pianura agricola che per lo scopo di tale consumo. Non insediamenti produttivi, industrie, manifatture creative, centri innovativi o tecnologie d’avanguardia che prevedano nuovo lavoro, impiego di manodopera specializzata, sviluppo economico, ma case sfitte, attività commerciali al tracollo, autosaloni ovunque, zone industriali dismesse, nuovi capannoni in vendita, strade intasate dalle auto. E poi case e casette disseminate ovunque, lungo il fiume, sotto strada, nelle colline. All’origine di tutto ciò varianti e cambiamenti di destinazione d’uso di fabbricati, di aree, di piccoli terreni privati. Nessun cittadino comune riesce a controllare in tempo reale ciò che accade. E’sempre troppo tardi. Una casa raddoppia, nasce un nuovo villaggio, si recinta un terreno dove sorgerà una nuovo insediamento commerciale, si progettano distese di casette ad Ameglia, un supermercato a Romito, una villettopoli alla Bradia, case sul Calcandola, insediamenti a Marinella, un “parkland” per i”Bozi”. Che fanno i tecnici? Asserviti alla politica assecondano le impellenti esigenze dei comuni di far cassa con gli oneri di urbanizzazione, e trovano soluzioni. Disquisiscono sulla tonalità di una facciata e accettano poi di demolire un edificio storico (il Pastificio Biava o la Vetraia), impongono un tetto a falda ad un privato e legittimano un palazzo-cubo a ponte. Contrattano permute di beni pubblici importanti con nuove e pessime costruzioni private. Certo non è compito loro incentivare progetti imprenditoriali realmente produttivi per lo sviluppo del territorio, ma non ostacolare le colate di cemento su territori fertili e farli morire per sempre è una grande corresponsabilità col vandalismo di questi anni

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