E' necessaria un’autentica rifondazione della pianificazione: che metta fine alla crescita quantitativa e punti invece sulla riqualificazione-trasformazione delle città, sul ricupero-risanamento dei centri storici, sulla ristrutturazione delle periferie e sulla rigorosa salvaguardia del territorio non ancora urbanizzato.

Antonio Cederna





mercoledì 21 dicembre 2011

Alluvione: prevenzione e modelli di sviluppo economico

Intervento del Prof Mauro Mergoni al Seminario del 10 dicembre 2011 sull'alluvione

Vivo nella valle del Cravegnola, l’affluente del Vara che ha sommerso Brugnato. E’ passato più di un mese e sono tuttora senza linea elettrica e telefonica e, quel ch’è peggio, per raggiungere casa mia- chissà per quanto tempo ancora- devo camminare tre quarti d’ora col carico dei i viveri e della benzina per il generatore portato dall’elicottero della Protezione Civile. Se poi piove il percorso diventa impossibile. Ma il mio disagio è poca cosa rispetto a quanti in basso, a Brugnato e Borghetto, hanno perso quasi tutto e hanno dovuto abbandonare le loro case.

Questo stesso mese è stato però sufficiente a far partire i lavori per la costruzione dell’outlet di Brugnato, in una zona sommersa dall’alluvione. Era lecito aspettarsi che questo progetto, tutto interno al binomio abbandono della montagna-cementificazione del piano che ha portato al disastro, fosse abbandonato. Invece il “partito del cemento”, senza preoccuparsi dell’inchiesta della Procura in corso né dare ascolto alle opinioni fuori dal coro (come Maggiani e Settis), ha addirittura rilanciato, sfruttando proprio il disastro e le sue conseguenze sull’occupazione per magnificare l’outlet come La soluzione del problema. Bisogna esser ciechi per non vedere che l’alluvione ha bocciato non solo l’outlet ma un modello di sviluppo e di rapporto con l’ambiente. Anche soltanto da un punto di vista economico: a quanto ammontano i danni? A quanti posti di lavoro corrisponde questa cifra se ci si orienta verso la prevenzione e lo sfruttamento razionale delle risorse? Anzitutto la prevenzione, un sistema di allarme efficiente: qui tutti sappiamo che, se l’esondazione fosse avvenuta di notte, le vittime non sarebbero state dieci ma centinaia, nelle camere da letto al pianterreno. Poi, in prospettiva, non penso solo alla riforestazione, alla manutenzione dei terrazzamenti, alla messa in sicurezza delle infrastrutture, ma all’agricoltura, all’allevamento, alla produzione di legname. E alla ricerca, perché il disastro è figlio anche di un deficit di conoscenza. Ad esempio vorrei sapere quanto ha inciso sull’impermeabilizzazione e sulla franosità dei suoli la diffusione -protetta per decenni anche a dispetto del suo scarso valore di mercato- del pino marittimo e la sua attuale moria causata dalla sua vulnerabilità in caso d’incendio e dal matzucoccus. Vorrei sapere quali tecniche possono sostituire la manutenzione dei muretti, assicurata per secoli, in un’economia di sussistenza, dalla popolazione contadina. Vorrei sapere perché le costruzioni più antiche hanno in genere resistito meglio delle più recenti. Penso anche alla tutela dei beni culturali. Per fare un esempio: conosco diversi giovani archeologi costretti per campare a riciclarsi in lavori d’altro genere ma mi risulta che nessuno sia stato chiamato a seguire le ruspe che stanno ripristinando l’alveo del Casserola nel tratto dove nel 1827 fu ritrovata la prima statua stele, la famosa “Zignago 1” – fiore all’occhiello del Museo Archeologico di Pegli- e dove non è improbabile che ne possano venire alla luce altre.

Infine una modesta proposta a costo zero: che su ogni costruzione sia apposta per legge, ben in vista, un’epigrafe che tramandi a futura memoria – nel bene e nel male- i nomi del committente, del progettista, del sindaco che l’ha autorizzata e della ditta che l’ha eseguita. Nel caso dell’outlet, dovesse malauguratamente “partire”, aggiungerei anche il numero dei posti di lavoro promessi.

Prof. Mauro Mergoni (Zignago, SP)

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